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CENTRO STUDI VALLE IMAGNA

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Novantasette ricette di Domenica Calvi ed Erminia Mazzoleni

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Dopo quello di Maria Locatelli, questo secondo ricettario per l'alta Valle Imagna costituisce un ulteriore approfondimento degli elementi gastronomici del territorio, anche nelle implicazioni con l'agricoltura, l'economia e la lingua locale
Contributo: 15,00 €
Descrizione

Ricette dal passato per comporre la storia della cucina bergamasca

È un vero e proprio passaggio di consegne; quasi una staffetta tutta al femminile talmente importante per le due autrici da poter essere paragonata per tensione emotiva a quella della fiamma olimpica. Il “testimone” da tutelare e tramandare riguarda uno degli aspetti più privati e meglio custoditi in ogni famiglia: le ricette di cucina.
In effetti, le ricette di Domenica costituiscono un’eccellente dote adatta a una signorina della buona borghesia della prima metà del Novecento, quindi un vero dono per la figlia Erminia. Ma c’è di più: esse non contengono solo indicazioni di gastronomia; sono sicuramente anche un mezzo dissimulato per concretizzare l’amore di una mamma per la propria figlia; siamo in un’epoca in cui per discrezione, riservatezza e cultura i sentimenti non si esternavano facilmente.
Il quadernetto di Domenica Calvi, quindi, non è semplicemente un manoscritto contenente ricette, me è la voglia di una mamma di accompagnare la propria figlia in un cammino nuovo, facendole sentire sempre la propria presenza e il proprio affetto.
È un passaggio di saperi, di conoscenze, di tecniche, di profumi, di trucchi, di esperienze, ma anche di ricordi. In primis, in segno di gratitudine e riconoscenza, il ricordo di suor Faustina, la cognata cuoca che le aveva rivelato la sua scienza in cucina; poi il ricordo che ogni ricetta porta intrinsecamente di momenti di vita, di aneddoti e circostanze, di persone e ricorrenze indissolubilmente legati all’esecuzione della stessa.
Essenziale nella descrizione, Domenica non si perde in inutili divagazioni e non tralascia nulla di quanto serve a fare un “arrosto bello”, delle “cotolette appetitose”, del “fegato fritto che non indurisce”. Tutti i passaggi sono raccontati con precisione e con consigli dettati dall’esperienza di chi lavora in cucina con passione e con la testa. Ed è bello capire tra le righe dei testi che a questa giovane donna di primo Novecento viene riconosciuto il ruolo di coordinatrice della vita domestica e che la coscienza di avere questa funzione le dà la forza e il coraggio, inusuale ancora oggi, di prendere penna e calamaio e lasciare un segno indelebile del proprio passaggio che raccolga le cose che lei sa fare e sa fare bene. Quello che scaturisce dal manoscritto non è il risultato di una civiltà chiusa e ottusa, come solitamente vengono descritti i bergamaschi valligiani e non; Domenica è uno spirito libero che non ha paura di esporsi; rappresenta una civiltà del sapere e del fare che ha orizzonti ampi.
L’incipit di ogni ricetta è un’azione: si fa, si prende, si taglia, si prepara, si mette, si netta, si tosta, si lessa, si pela. Senza perdere tempo, secondo lo stile bergamasco.
I procedimenti e le materie prime contemplate nella raccolta svelano la storia dei saperi gastronomici di quell’epoca in Valle Imagna; la fotografia che esce da questa raccolta è molto interessante. Come e cosa si mangiava? Alcuni ingredienti, quali formaggi e salumi, e alcune preparazioni, come polenta, pasta fresca (nominata solo per ricordare che l’intingolo dello stufato costituisce un condimento “molto eccellente”), trippa o carne bollita non sono presenti. Eppure sappiamo che nel 1922, anno in cui è stato scritto il quadernetto, in Valle Imagna erano cibi comuni, conosciuti e consumati da tutti. Allora possiamo affermare che Domenica sceglie quali ricette scrivere, quali vuole che la figlia non si dimentichi. Sono le vivande più particolari e difficili o quelle che fanno ben figurar la tavola. Sono per lo più piatti di carne, ma non di tutti i tipi e non tutti i tagli. Troviamo vitello, maiale, uccelli, lepri, conigli, faraone, ma solo in alcuni tagli ben precisi: filetto, polpa magra, fesa, “tagli teneri” e le parti nobili del quinto quarto cervello, fegato e rognone. Carni e tagli di pregio quindi adatti a tavole benestanti e cucinati con delicatezza e rispetto e non in modo grossolano. Scopriamo quindi una cucina bergamasca raffinata e leggera e per nulla lasciata al caso, ma studiata e ragionata.
Numerosi sono i consigli e gli accorgimenti di tecnica di cucina: “mettere tutto a freddo” quando gli ingredienti sono delicati e non devono scioccarsi con la fiamma, “salare poco prima” della fine cottura perché diversamente indurisce, “far prendere in fretta una sfrizatina”, “friggere un po’ sempre rimestando”, “tagliare la carne non nel modo che vada a fili, ma per l’altro verso”, “si bagna, si copre e si lascia andare piano piano” e così via.
Domenica racconta il suo sapere anche utilizzando con accuratezza aggettivi ed esempi pratici che ben rendono l’importanza e la precisione necessaria a ogni passaggio: “bagnare a poco a poco”, “facendo andare adagio, adagio”, “fuoco non troppo vivo”, “fettine che si battono affinché divengano larghe e sottili” … oppure … “sottili e un po’ larghe a secondo del tipo di carne”, “forma tonda però bassa come un centesimo”, “tagliare come una moneta da dieci cent., più sottili che sia possibile”, “rimescolare adagio adagio perché la verdura non vada in poltiglia”, “a pezzetti come noci”.
L’elevato numero di conserve sott’aceto, utili a conservare i prodotti per lungo tempo e la presenza della ricetta delle “polpettine dolci e brusche” ci riportano alla cucina romana e medioevale dell’agrodolce; l’utilizzo di spezie orientali, quali cannella in polvere e canna, pepe, chiodi di garofano e noce moscata ci ricorda la lunga dominazione veneta e il passaggio dei mercanti. I contatti con i vicini milanesi sono evidenti in molte preparazioni, come cotolette e galompini, e anche la conoscenza di prodotti stranieri, economicamente “proibiti”, viene furbescamente superata da Domenica con la creazione di ricette ad hoc, quali lo sciampagn, che del vino francese ha solo la pronuncia del nome.
Il territorio lo si avverte nel grande uso delle erbe aromatiche e in alcune preparazioni tipiche: lattughe, crocant fatto di sole nocciole, frittole fatte anche con polenta o pane e castagne, maraschino e molte altre. Nella prima e perciò più importante ricetta, quella dell’arrosto, non esita a inserire la modalità per cucinare un arrosto tutto bergamasco: gli uccelli. Sente inoltre l’esigenza di spiegare cosa siano gli uccelli scappati, che descrive secondo la tradizione della Valle Imagna: carne di vitello o maiale, lardo, bacca di ginepro e salvia, ma, sottolinea, non rosmarino.
Bisogna poi evidenziare un primato di questo ricettario: l’abbondante utilizzo della conserva di pomodoro. All’epoca, infatti, il pomodoro era un contorno e non un condimento. Pasta e gnocchi erano serviti con burro, cacio e cannella e così da sempre. In questo manoscritto la conserva è presente con la duplice funzione di rendere il colore delle pietanze più vivace e di insaporire.
Le ricette di costoletta, galompini, pollo a fracasì, frittura picchiata in umido, polpette alla milanese, soffritto per minestra, hanno tutte un’aggiunta di conserva. È presente anche il procedimento per la salsa di pomodoro. In particolare nel condimento per la ricetta degli gnocchi per le monache di Brescia al consueto burro o lardo e cannella in polvere, Domenica aggiunge della conserva diluita. Ma suggerisce che, essendo la stessa dispendiosa, “per economia” si può sopperire con un trucchetto: far rosolare al rosso della farina nel burro e poi aggiungervi la cannella.
Nei coevi ricettari di famiglia o menù bergamaschi l’utilizzo della salsa di pomodoro non è presente. E così dopo oltre quattro secoli dalla scoperta dell’America, pare che nella bergamasca sia proprio Domenica a mettere per scritto come utilizzare questo vegetale straniero.
Il valore ed il messaggio affettivo di questo manoscritto pare essere ben compreso dalla figlia Erminia, che, forse proprio per evitare di rovinarlo durante l’utilizzo, lo trascrive dando la precedenza ad alcune ricette. Passa il tempo, la tecnologia industriale ha fatto progressi e gli stili di vita sono cambiati; mutano anche le abitudini in cucina, quindi risulta meno importante saper fare conserve, elisir, liquori, decotti, dolci laboriosi, mostarda, sale o strutto, ormai facilmente reperibili a basso costo in tutti i negozi e queste ricette non sono copiate subito, ma quelle più legate ai profumi di casa ed ai ricordi familiari sono riportate alla lettera, con rispetto e riconoscenza.

È stato per caso alcuni anni fa che durante una cena tra amici, il discorso andò a toccare un argomento che mi stava a cuore: l’esistenza di una tradizione culinaria bergamasca. Da sempre qui, nella mia terra, sento dire che non abbiamo una cultura gastronomica, una vera tradizione. Si afferma: non c’era niente, quindi non si cucinava niente e di conseguenza non si mangiava niente. Non essendoci materie prime, come faceva a essersi formata una tradizione gastronomica del territorio? Questa è stata per anni la convinzione di molti. E così che intervenne la signora Viganò, orgogliosa di un manoscritto di famiglia custodito dalla cugina e, sapendo che ero alla ricerca di documenti da esporre alla mostra che stavo curando per la biblioteca Angelo Mai, si offrì di fare da tramite in modo da completare un pezzo di storia della gastronomia bergamasca. Grazie quindi a tutti coloro che hanno aggiunto un tassello di verità alla storia della tradizione gastronomica bergamasca. E, per finire con le stesse parole dei manoscritti di Domenica e Erminia: ciao … e per oggi addio!

Silvia Tropea Montagnosi

Luogo di edizione: Bergamo
Anno di edizione: 2013
Autore: Velio Moioli (a cura di)
Pagine: 92