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CENTRO STUDI VALLE IMAGNA

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De ludo schachorum

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Ristampa fototipica del manoscritto originale depositato presso la Civica Biblioteca di Bergamo. Al libro principale (cartonato) è stata affiancata una brossura con la descrizione codicologica e la trascrizione del testo (curata da Antonio Previtali)
Contributo: 45,00 €
Descrizione

Nella biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo, tra i tanti tesori conservati, vi è il De ludo schachorum ovvero Liber de moribus hominum et de officis nobilium, arricchito da una serie di immagini, a penna ed acquerellate, realizzato nel XIV secolo da Fra Iacopo da Cessole. Si tratta di un’opera di notevole interesse che il Centro Studi Valle Imagna ha pubblicato in stampa anastatica,
Oltre al volume vero e proprio, in tutto e per tutto simile a quello originale, è stato stampato un prezioso libretto che contiene un’introduzione di Antonio Previtali, una descrizione critica del De ludo schachorum di Giulio Orazio Bravi e il testo integrale tradotto da Previtali.
Il libro, il cui titolo italiano è Il gioco degli scacchi. Ovvero il libro dei costumi degli uomini e dei doveri dei nobili, risulta un’opera allegorica, che si avvale dell’antico gioco per trattare argomenti strettamente correlati alla realtà sociale dell’epoca, con tutta una serie di tasselli culturali che inducono a stimolanti approfondimenti.
Le notizie su Iacopo da Cessole sono purtroppo scarse: non abbiamo idea del suo cognome e non conosciamo la sua data di nascita: quasi certamente fu di origini piemontesi e membro dell’Ordine dei Frati Predicatori della provincia di Lombardia Predicatori. La “quasi”certezza della sua piemontesità ci giunge dall’appendice al suo nome Cessole, toponimo di un piccolo comune dell’Astigiano, situato sulla sponda sinistra del Bormida, ad una quarantina di chilometri dal capoluogo di provincia. In un documento del 1322 il suo nome è accompagnato dalla specificazione “di Ast”, il che sostiene la sua origine artigiana.
Dalle poche fonti che ci consentono di definire una minima biografia di fra Iacopo, apprendiamo che nel 1317 ebbe l’incarico di curare gli interessi dei Frati Predicatori della città di Savona; l’anno successivo fu vicario dell’inquisitore Iacopo da Levanto.
Non è noto quando Il gioco degli scacchi vide la luce, di certo ciò avvenne quando l’autore era ormai in età matura; nel 1337 Konrad von Ammenhausen, religioso della Turgovia approntò una traduzione tedesca del lavoro di Iacopo da Cessole: quindi 1337 si pone come certo termine ante quem per la datazione dell’importante opera.
Antonio Previtali, sottolinea che l’originalità e la fortuna di questo volume “sta ne fatto che l’autore si è servito del gioco degli scacchi, che al suo tempo si era ampiamente diffuso sia tra i ceti aristocratici sia tra quelli borghesi e mercantili delle città, come accattivante e fascinosa allegoria della vita e dello sviluppo di una società ideale, nella quale, a suo giudizio, le classi e ciascun individuo, gerarchicamente ordinati e organicistacamente solidali, dovevano perseguire il bene comune”.
Il gioco degli scacchi ha alle spalle una storia molto antica, articolata e basata su un’impostazione di chiara matrice bellica. I giochi, quasi tutti i giochi, hanno qualcosa di iniziatico: questa peculiarità deriva dal fatto che per partecipare è necessario conoscere delle regole, inoltre, quando si è all’interno del perimetro ludico, ecco che vengono meno le leggi quotidiane e si afferma un mondo spesso opposto a quello reale. Inoltre, spesso prevale un’impostazione che si struttura seguendo una linea di gioco nella quale hanno un ruolo determinate strategie che potremmo definire belliche.
Gli scacchi, per questo e altri motivi, sono qualcosa di più di un “gioco”, per molti aspetti colmo di ambiguità, che l’ha fatta da padrone nella cultura, trovando spazi deputati nella letteratura, nel cinema, nell’arte.
La sua storia è quindi molto antica e basata su un’impostazione di chiara matrice bellica le cui origini risalirebbero al VI secolo, in India; qui era diffuso il “Chaturanga”: una battaglia che si combatteva su una scacchiera costituita da 64 caselle tra due eserciti composti da quattro contingenti con cavalieri, elefanti, carri da guerra, fanti. Prima di giungere nel mondo occidentale, quel gioco ha via via elaborato le proprie regole e caratteristiche, passando nella cultura islamica attraverso la mediazione di quella sassanide. Nella Persia, il re Shah (da cui si fa derivare il nome del gioco) effettuò una serie di cambiamenti – come il Gran visir al posto della Regina – che però non furono condizionanti per il futuro del gioco.
Intorno all’anno Mille gli scacchi erano giunti in Europa: nel XIV secolo circolavano già alcuni trattati teorici da cui si comprende la volontà di porre in evidenza tutta una serie di aspetti che ben poco hanno da spartire con la sola dimensione ludica.
Le 64 caselle sono un multiplo di otto: questo numero non è casuale poiché in molte tradizioni esoteriche l’otto è visto come il numero dell’equilibrio cosmico: è il numero della Rosa dei venti in cui esprime questa sua valenza simbolica, divenendo così espressione del tutto. Nella tradizione orientale questo numero occupa una posizione importante: otto sono le braccia di Vishnu e le forme assunte da Shiva.
L’ottavo giorno è quello della Resurrezione, del ritorno alla vita, emblematicamente i lati del battistero sono otto: un segno chiaro del concetto di vita eterna che trova nel battesimo la sua origine.
Otto sono i linga dei templi di Angkor, i raggi della ruota celtica e di quella buddista; all’identico numero corrispondono i petali del loto e gli angeli portatori del trono celeste.
Nell’architettura religiosa cristiana, il numero otto non appare solo nei battisteri, ma è rinvenibile anche nel tracciato a pianta ottagonale della crociera di numerose chiese, in cui svolge comunque ancora il ruolo simbolico attribuito all’edificio consacrato al rito del battesimo.
Gli otto raggi inscritti nella ruota, presenti nelle tradizioni orientali, si collegano anche alla figura della svastica che propone un significato simbolico propiziatorio di notevole importanza, la cui origine è nell'antica civiltà dell'Indo. Qui era infatti considerata un simbolo solare connesso al dio Visnu.
Il 64, secondo il libro oracolare Ijnh (Libro dei mutamenti) simbologeggia la totalità; inoltre i 64 quadrati del Vastu-Purusa-Mandala erano il modello di base sul quale venivano costruite le città. Il reticolo ortogonale, quadrato o rettangolare, in effetti costituisce la base per moltissimi piani urbani: solo nell’area mediterranea le città strutturate secondo questo modello sono, ad esempio, Tell-el-Amarnah (Egitto), Rodi e Pireo; non vanno poi dimenticati quei centri derivati dal campo militare romano (castrum), fino alle riprese rinascimentali e barocche dirette a dimensionare la “città ideale”.
Gli esoteristi moderni riconoscono nel pezzo che rappresenta il Re il simbolo dello spirito, nella Regina l’anima; la ragione e la deduzione sarebbero la prerogativa degli Alfieri; i Cavalli simboleggiano l’intuizione; le Torri la volontà e i Pedoni i moti del pensiero.
In sostanza giocare a scacchi può essere un’operazione che evoca simbolicamente il ricorso ad un universo non completamente noto, anche per il giocatore più smaliziato; c’è sempre qualcosa di non detto, di sconosciuto e di imponderabile. Probabilmente stanno in questa aura anche inquieta, le valenze esoteriche degli scacchi. Quella scacchiera, “per la sua forma, presenta una riattivazione del dinamismo d’interpretazione dei due elementi ripetuti e contrapposti che costituiscono la trama dualistica di ogni scacchiera. Si noti che il vestito degli Arlecchini (divinità cotniche) consiste esattamente in scacchi e losanghe, il che testimonia sena ombra di dubbio il rapporto con la scacchiera e le divinità del destino” (J.E. Cirlot, Dizionario dei simboli, Milano 1985, pag. 429)
In sostanza giocare a scacchi può essere un’operazione che evoca simbolicamente il ricorso ad un universo non completamente noto, anche per il giocatore più smaliziato; c’è sempre qualcosa di non detto, di sconosciuto e di imponderabile. Probabilmente risiedono in questa aura anche inquieta, le valenze esoteriche degli scacchi.
Ed è certamente quest’aura ad aver svolto un ruolo importante in scrittori e artisti che hanno inserito il gioco dei giochi nel loro itinerario creativo: Adgar Allan Poe, che di simbolismo magico- esoterico non era certo a digiuno, usa gli scacchi nell’incipit del celeberrimo I delitti della via Mourge; Massimo Bontempelli li ha trasformati in protagonisti ne La scacchiera davanti allo specchio mentre, in tempi più recenti, Paolo Maurensig li evoca con un titolo da addetti ai lavori: La variante di Lüneburg.
Nell’arte è soprattutto la scacchiera a farla da padrona: protagonista di nature morte e trasfigurata in numerose soluzioni dagli artisti contemporanei, di fatto diventa una metafora colma di suggestioni.
Anche il cinema ha saputo avvalersi degli scacchi come di un simbolo importante, oltre all’apoteosi al già citato capolavoro di Bergman, ricordiamo Mosse pericolose di R. Dembo del 1985, che riporta sulla scacchiera l’incontro-scontro tra i Paesi al di qua e al di là della “cortina”. Vi è poi l’icona: Humphrey Bogart che gioca da solo in una scena di Casablanca. Fino a 2001 Odissea nello spazio, in cui il computer Hal gioca tranquillamente a scacchi. Un segno premonitore che oggi, tra stupore e inquietudine, è diventato realtà…

Luogo di edizione: Bergamo
Anno di edizione: 2008
Autore: Iacopo da Cessole