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CENTRO STUDI VALLE IMAGNA

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Suoni e voci di cantoria

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Il volume è stato realizzato per il centocinquantesino anno di costruzione dell'organo Serassi della chiesa parrocchiale di Rota Fuori (Rota d'Imagna). Iniziativa promossa con la Parrocchia e il Comune di Rota d'Imagna.
Contributo: 15,00 €
Descrizione

Presentazione di Febo Guizzi

Lo studio degli organi storici è un’avventura scientifica e musicologica di grande valore, che vanta nel nostro Paese una tradizione di prim’ordine; del resto sarebbe stato strano il contrario, non solo per le ragioni storiche di eccellenza costruttiva di molte tradizioni nostrane, ma per la rilevanza stessa, fonica e strutturale, dei grandi e meno grandi strumenti disseminati capillarmente pressoché ovunque, per il fascino esercitato dalla loro complessità costruttiva, per il valore documentario che ogni “agglomerato” organario porta con sé, e che spesso somma numerose tracce, sotto forma di stratificazione molteplice di interventi innovativi, di ampliamenti, di adeguamenti a nuove esigenze timbriche e musicali; la stessa imponenza di manufatto artistico - in particolare per la parte architettonica e decorativa - per molti versi ascrivibile a un raro connubio tra gusto estetico del tempo, scuole artistiche e competenze artigiane altamente specializzate, attrae da sempre, quanto meno per la parte esposta allo sguardo di tutti, curiosità e ammirazione che a loro volta esigono studi accurati e un forte impegno conservativo. Infine è ovviamente determinante il valore densamente simbolico, legato al suo ruolo religioso - che l’organo ha assunto per la verità da epoche storiche poi non così lontane come si è portati a credere - che almeno a partire dal XVII secolo è riassumibile con quanto scrisse Gino Stefani: “Per la semiologia barocca l’organo è dunque essenzialmente un’insegna religiosa”.
In questo quadro il volume del Centro Studi Valle Imagna sull’organo Serassi di Rota Fuori non si limita ad aggiungersi ad una imponente serie di monografie sugli organi storici, pur svolgendo egregiamente il fondamentale ruolo di integrazione delle conoscenze analitiche messe a disposizione del pubblico e degli studiosi: qui siamo in presenza di un taglio particolare, efficace e oltremodo significativo, che sa mettere insieme in un’esposizione complessiva e dialogica “organi e organisti”, storia e tecnologia organologica con le esperienze umane di chi ha voluto quello strumento e lo ha saputo integrare nella propria cltura come un elemento non secondario dell’ethos della comunità. Basta la lettura delle righe iniziali del testo di Fulvio Manzoni per confermarmi in questo giudizio: la rievocazione della sua prima esperienza pubblica, di fronte ai fedeli e nel corso di una funzione, da adolescente alla prese con un compito doppiamente impegnativo, domare la grande macchina sonora e fornire ai convenuti la voce inconfondibile, appropriata, evocativa, la voce dell’ascolto comunitario e partecipe dell’assemblea; l’esito di quell’esperienza problematica e lo scatto di consapevolezza che ne è seguito: tutti momenti esemplari di una funzione assunta pur non padroneggiandola, perché allo stato nascente, ma ugualmente rispondente ai tratti inconfondibili della performance in nome della collettività, della competenza che si apre e sa crescere nel misurarsi con le aspettative emotive, cerimoniali, estetiche di un uditorio che non è “pubblico”, separato e giudice, ma che è parte committente e ricettiva del “servizio” musicale reso dal musicista.
Si aggiungono poi i dettagli forniti dalla documentazione archivistica, che ci parlano della fase in cui prende forma la commessa ai Serassi e si delineano i criteri principali della progettazione: vi si legge di un percorso che non si esaurisce in una dimensione meramente tecnica, né si sviluppa solo entro il rapporto ristretto delle figure contrattuali formalmente coinvolte nell’atto giuridico, né infine si limita all’avvio dell’iter di fornitura di uno strumento definito e prefigurato secondo criteri di pochi “addetti ai lavori”. Al contrario si legge, a pag. 60: “Nel contratto dell’organo di Rota Fuori sono riportati i termini per la costruzione di un organo ad una sola tastiera, ma evidentemente in corso d’opera il fervore della popolazione crebbe ulteriormente, forse spinta anche da un sano campanilismo”.
Questo non è né un dettaglio, né un particolare episodico: è invece un chiaro indice dell’esistenza di una tensione collettiva, che agiva dietro le mosse di chi attivò la fornitura e delineò la progettazione dell’organo, di una volontà che possiamo dire che abbia impersonato un vera e propria spinta progettuale indirizzata “in nome collettivo” verso la committenza.
Da ultimo, e non per importanza, gli straordinari profili biografici degli organisti, appassionanti sia per la ricchezza narrativa con cui se ne dà conto, sia per la singolarità delle vicende narrate, così lontane da stereotipi e quindi del tutto “inattese” nella loro indiscutibile realtà di storie di musicisti popolari, di un apprendimento così nettamente caratterizzato dall’oralità e dalla stretta contiguità della cultura musicale acquisita in modo determinante attraverso la pratica con la pregressa e più “allargata” cultura musicale della tradizione imagnina, segnata in modo inconfondibile dalla presenza dei sivlì.
Gli elementi che ho voluto qui sopra brevemente richiamare si riconnettono tutti, e ciascuno in modo non superficiale, ad un quadro innovativo e molto avanzato dello studio degli organi, che è stato intrapreso grazie soprattutto a Vincenzo la Vena e del quale oso rivendicare una minuscola ma gratificante corresponsabilità indiretta riferibile alla riflessione in generale sugli strumenti musicali quali indicatori di cultura e sul modo in cui li si debba studiare, tutti, nessuno escluso, nemmeno quindi gli organi storici: mi riferisco al lavoro (a cura di Maria Paola Borsetta e dello stesso Vincenzo La Vena) Organi e organisti in Calabria. Contributi per lo studio dell’organo e delle tradizioni musicali religiose. Uno degli assunti principali di questa impostazione è la concezione secondo cui “lo strumento sottintende e quindi, in un certo qual modo, contiene in sé (per chi le sa cogliere) precise indicazioni circa l’apporto performativo richiesto. In tale prospettiva, è quindi possibile intendere la costruzione di un nuovo strumento come la materializzazione di una precisa prassi esecutiva, una sorta di “istantanea” su una gestualità in continua e sia pure lenta evoluzione, che è però leggibile solo in rapporto al contesto socio-culturale di appartenenza”.

Per lo studio degli organi è dunque indispensabile combinare l’analisi dello strumento con lo studio della musica scritta e di quella realmente eseguita su quello strumento particolare; la ricerca delle fonti archivistiche con la sfera dell’oralità, che è di grande rilievo sia nella cultura dei costruttori, sia nella formazione degli organisti “non professionisti”. Più in generale ancora sono illuminanti tutte le connessioni, di cui si possa venire a conoscenza, tra la musica e la società, anche e forse soprattutto nell’ambito locale. Al punto che la stessa progettazione va considerata come un processo in cui entrano in gioco numerose pulsioni, e la realizzazione dell’organo, anche nella sua prima versione eventualmente destinata a ulteriori rimaneggiamenti, non è un mero processo lavorativo dell’artigiano che ne è responsabile, ma è un complesso processo produttivo in cui entrano in modo determinante l’orizzonte culturale che appartiene alla comunità committente e le concrete manifestazione della cultura musicale in atto nell’hic et nunc.
Ecco dunque come si combinano, a mio avviso, le tracce che ho qui sopra delineato all’interno dei contributi del presente volume, con un quadro complesso e avanzato di studi innovativi sull’organo, i suoi costruttori, i suoi musicisti: che questa combinazione sia frutto di un parallelo e autonomo percorso nato dall’attenta osservazione, amorosamente condotta, della realtà complessiva della Valle Imagna, più che di una diretta cooperazione con altre esperienze di studio, non indebolisce, anzi rafforza il merito acquisito dagli autori di questo intenso lavoro.

Milano, giugno 2009.

Febo Guizzi

Luogo di edizione: Bergamo
Anno di edizione: 2009
Autore: Fulvio Manzoni
Pagine: 160